CONSOLIDARE ARCHI E VOLTE

Fondamentali nello schema statico degli edifici in muratura, archi e volte sono i primi a segnalare dissesti e cedimenti strutturali.

Nella tradizione costruttiva italiana, anche per edifici di poca rilevanza storica, la presenza di archi o volte all’interno dello schema portante è senz’altro un motivo costruttivo che si ripete, pur manifestandosi varianti a seconda dello stile architettonico.
In caso di dissesti o cedimenti (legati spesso ad un’età anagrafica di almeno un secolo) dell’intera costruzione sono proprio archi e volte a risentire per primi di tali movimenti, con formazione di lesioni nell’intradosso a vista.
Prima di qualsiasi intervento di recupero sulle volte lesionate fondamentale è l’esigenza di capire se l’elemento orizzontale di copertura o di solaio va in crisi per eccesso di carico su di esso, per un’errata distribuzione delle forze o viceversa in conseguenza di movimenti dei piedritti di base, ossia delle murature portanti di perimetro, che possono andare in crisi per cedimento della fondazione o per insufficiente capacità portante causa deterioramenti in corso.
Come sempre, allorché si parla di interventi di recupero di costruzioni, è una lettura del quadro fessurativo dell’intero complesso edile il punto di partenza; tutto questo per ottenere interventi di recupero mirati e realmente risolutivi dei problemi dello stabile.
Un arco tradizionale deve il proprio funzionamento portante a uno schema statico di sola azioni di compressione;
concettualmente il comportamento è l’esatto opposto a quello di un filo bloccato agli estremi e lasciato penzolare sotto l’azione del proprio peso proprio (carico uniformemente distribuito). Il filo resiste solo a trazione:
dunque allorché lo si lascia penzolare si dispone secondo una forma (detta “catenaria”- un arco rovesciato) che determina solo azioni di trazione all’interno dello stesso;
in analogo modo i materiali lapidei di cui sono fatti gli archi resistono solo ad azioni di compressione.
La miglior forma per costruire una struttura orizzontale in muratura è dunque quella esattamente opposta alla forma del filo penzolante dalle due estremità (ossia un analogo arco): vi è un comportamento duale.
In generale, come è facile intuire, un arco tende a spingere con due azioni uguali e simmetriche sulle due basi laterali (piedritti).
Se per i più diversi motivi i piedritti non riescono a contrastare la spinta orizzontale ecco che sull’arco tradizionale si formano tre fessure: una in mezzeria dell’arco sul lato dell’intradosso e le altre due a circa 30° verso gli appoggi sul lato dell’estradosso.

La struttura da iperstatica diventa isostatica, formandosi l’equivalente di un arco a tre cerniere.
La struttura è ancora in equilibrio, ma ha raggiunto il suo ultimo grado di sicurezza; se il movimento prosegue senza fermarsi vi è rischio che nel tempo si manifesti un crollo.
A nulla serve ristrutturare l’arco se non si contrasta con altra tecnica l’eccesso di spinta orizzontale:
le fessure si riformeranno nuovamente in breve tempo.
Per bloccare il movimento orizzontale gli interventi più classici proponibili sono:
  • Formazione sui piedritti di contrafforti murari. L’aggiunta di massa sugli elementi verticali con altresì un allargamento della base di appoggio comporta una deviazione della risultante globale delle forze; ciò significa che la stessa raggiunge il terreno all’interno della base di appoggio (preferibilmente all’interno del cosiddetto “terzo medio”) e la muratura verticale non si ribalta più, contrastando di conseguenza la spinta orizzontale dell’arco. Ovviamente questo tipo di intervento occupa fisicamente spazio architettonico nella parte inferiore dell’edificio e quindi non sempre è soluzione ben accettata.
  • Messa in opera di tiranti metallici: è questa la soluzione sicuramente meno invasiva. Il tirante viene generalmente messo in opera dopo aver perforato l’arco e predisposto apposite teste metalliche di ancoraggio. Generalmente una testa è “morta”, ossia il tirante è reso solidale con l’ancoraggio mediante saldatura o imbullonatura. All’altra estremità si realizza viceversa una testa a tirare, con possibilità di bloccare il tirante solo dopo averlo opportunamente tesato (il blocco può avvenire mediante cunei o bulloni). Importante è l’operazione di messa in trazione del tirante in fase di cantiere: se infatti si lascia un tirante “lasco” in opera la muratura fa in tempo a subire ulteriori movimenti prima che il tirante entri in funzione e le fessure preesistenti si allargano. La tesatura del tirante può avvenire mediante una delle tre seguenti tecniche: riscaldamento del tirante metallico che si dilata e poi viene bloccato in testa da dei cunei prima che si raffreddi, serraggio del bullone (se presente) della testa a tirare oppure impiego di un manicotto centrale che poi rimane a vista sotto l’arco (in quest’ultimo caso occorre porre in opera tue teste morte nella muratura con due spezzoni filettati di tirante; il manicotto diviene l’elemento di collegamento e di tesatura). Si evidenzia che l’azione di tesatura deve essere valutata considerando una forza orizzontale da contrastare derivante dall’azione dei soli carichi permanenti e non di quelli accidentali; ciò per evitare l’effetto opposto di eccessivo schiacciamento dell’arco con rotture opposte. Altrettanto va ricordato che la tesatura causa compressione locale dei mattoni del piedritto e quindi, per evitare uno sfondamento della muratura con incasso improprio del tirante è buona norma che le teste dello stesso siano dotate entrambe di una piastra che distribuisce il carico su più corsi di mattoni. Da ultimo, ma non per questo meno importante, va ricordato che per un arco di forma “tradizionale” (per gli altri vanno svolte valutazioni apposite) è buona norma posizionare il tirante non all’imposta dell’arco, ma ad un’altezza che corrisponde all’incirca ad un angolo di 30° sull’arco. In tali due punti, infatti,si tende a formare la cerniera strutturale dell’arco isostatico di calcolo a tre cerniere. In parole povere se l’arco dovesse crollare i mattoni sino ad un angolo di 30° (valore che è all’incirca quello dell’angolo di attrito dei mattoni) rimangono in opera grazie alla forza di attrito, mentre le parti rimanenti crollano. In generale, quindi, un intervento dove i tiranti si posizionano all’inizio dell’arco (angolo di 0°) non permette di sfruttare nel migliore dei modi le risorse a disposizione, causando improprie tensioni interne di compressione e trazione. Nei casi di interventi storici di tiranti estradossali sulle volte posizionati nei decenni passati eliminando il pavimento da sopra la volta si può avere la sorpresa di trovare delle catene metalliche integrate con la volta la cui funzione è da valutare.
  • Impiego di frenelli in mattoni sugli archi (rinfianchi cellulari). La risultante delle forze dell’arco può essere deviata posizionando della massa sull’arco via via che ci si avvicina all’imposta. Non è un caso che numerose chiese o palazzi d’epoca si presentino con contrafforti murari o anche semplicemente
    con un riempimento sabbia o materiale di riporto sulle volte. Tale tecnica di intervento è semplice, ma altrettanto pericolosa ai fini di una sicurezza statica se il materiale che fa massa non è adeguatamente reso solidale con l’arco. Vi è infatti da evidenziare molto bene che in caso di evento sismico il materiale di riporto semplicemente appoggiato che fa massa diventa un peso che colpisce con enorme energia l’arco. Un colpo che l’arco potrebbe essere in grado di non assorbire.
    Dunque occorre fare molta attenzione, soprattutto allorché si interviene in un intervento di recupero.
  • Volte o archi appesi ad una sovrastante struttura orizzontale. Una tecnica alternativa per eliminare le
    spinte sui piedritti è quella di annullare in parte o del tutto la funzione portante della volta, agganciando la stessa a tutta una serie di tiranti che trasferiscono il carico ad una nuova struttura orizzontale sovrastante in c.a. o in acciaio. In sintesi la volta diviene l’equivalente di un controsoffitto appeso ad un nuovo solaio superiore e quindi si annulla qualsivoglia spinta orizzontale. Tale tecnica, che ha trovato ultimamente larga diffusione, può essere evidentemente impiegata quasi esclusivamente per volte di copertura con sottotetto non abitato, essendo necessario realizzare una nuova sovrastante struttura. Una volta equilibrato il sistema di spinte della struttura merciale. Il concetto è quello di “cucire” (nel vero senso della parola) le diverse parti formando degli incroci di barre, prima in una direzione e poi nell’altra. La singola cucitura avviene dapprima eseguendo una perforazione inclinata secondo la
    direzione prescelta e poi riempendo il foro con resina o malta espansiva; in tale riempimento viene calata la barra facendola roteare attorno al proprio asse, favorendo così l’adesione del prodotto semi-liquido. Da un punto di vista estetico l’arco mantiene la sua fisionomia originale in quanto le barre sono completamente nascoste al suo interno. Sull’estradosso superiore (non a vista dell’utente dell’ambiente) è poi possibile realizzare una cappa in c.a. di collegamento tra le diverse teste delle barre.
    Su queste ultime è consigliabile lasciare avvitato un bullone, per consentire una maggiore aderenza.
  • Cappa collaborante posta sull’estradosso. Se ridare consistenza alle diverse parti può essere interpretato come la volontà del progettista che ogni carico tenda a ridistribuirsi su più elementi attigui trasferendo ogni azione in tutte le direzioni, ecco che la soluzione di realizzare una cappa superiore collaborante con la sottostante volta in mattoni raggiunge lo scopo. Da un punto di vista pratico si perseguita l’obiettivo mediante una prima messa in opera di ganci ad L di collegamento con la volta muraria. I ganci, fissati con resina ai mattoni, devono essere posti in maniera distribuita sull’intera superficie di estradosso della volta, fermo restando che in corrispondenza di fessure è sempre conveniente concentrare due file di ganci lungo i lembi delle medesime. Una volta completato il primo lavoro si procede con la messa in opera di una rete metallica conformata nella sua forma seguendo quello della volta e fissandola ai ganci. Un getto di betoncino epossidico o di prodotto equivalente completa la cappa collaborante. Si evidenziano tre aspetti: appositamente non si è parlato di calcestruzzo armato, perché l’impasto che si getta deve essere tale che nel tempo, sull’intradosso della volta, l’acqua dell’impasto non causi formazione di sali. Se possibile è sempre da preferire la realizzazione di una cappa alleggerita, così da ridurre le azioni sismiche in caso di terremoti. Altresì si ricorda che l’intervento appare poco reversibile, perché la cappa è totalmente coprente la volta e debitamente ad essa ancorata, pur riconoscendo alla stessa che svolge in ottimo modo la sua funzione.
  • Maglia incrociata di tessuti di fibra di carbonio, aramidica o di vetro. Il principio di funzionamento di tale tecnica è simile a quello della cappa collaborante, in quanto le diverse parti sono
    collegate da un reticolo (come meridiani e paralleli, simili a quelli di un mappamondo di elementi fortemente resistenti a trazione (tali tessuti impediscono grossi distacchi di parti). Il vantaggio di tale tecnica è soprattutto nel fatto che rispetto alla cappa collaborante appare meno invasiva, oltreché non si altera la permeabilità al vapore della volta. Dopo aver pulito la volta da polveri o quant’altro di movibile si procede con la stesura di apposita resina e poi si incollano i diversi nastri di fibra. Anche in questo caso è conveniente porre in opera un apposito tessuto bidirezionale a cavallo di fessure esistenti o sopra particolari contrafforti della volta. In tutte le altre direzioni può essere impiegato un tessuto monodirezionale. L’intervento non è adatto se la volta presenta numerose irregolarità con incavi improvvisi nella superficie, mentre può essere attuato con volte di forma variabile.

RECUPERO ACQUA PIOVANA

ESTRATTO GAZZETTA UFFICIALE: ... Il recupero delle acque piovane e' obbligatorio quando si verificano entrambe le seguenti condizio...